giovedì 11 ottobre 2012

CULTURE ATTORNO: Memorie, tradizioni ed etnie

Vero è che la cultura nella normalità dei casi ingenera certezze, consapevolezza dei fenomeni che ci attorniano, ma soprattutto capacità di risolvere problemi che fanno parte della nostra vita quotidiana. Altre volte ingenera invece tensione, incertezza, dubbio e perfino reazioni violente: la storia ci insegna che la violenza alla cultura corrisponde spesso a violenza alla persona.
Non ci è nuova la domanda che ci è giunta con la prima proposta di Insieme per la cultura, domanda che non era interlocutoria, ma è servita a chi voleva arrecare violenza: “ ... ma che cos’è poi questa cultura?” Abbiamo rispettosamente ascoltato e senza nulla rivendicare ci siamo alacremente messi al lavoro perché se tra le righe l’interlocuzione aveva una radice violenta, alla base c’era invece una richiesta di spazio: spazio culturale che ad alcune persone era giunto e spazio culturale che ad altre era interdetto. Forse noi non abbiamo saputo cogliere questo aspetto e forse stiamo emarginando anziché coinvolgere quelle persone.
La cultura è di tutti, ma non è per tutti perché ognuno di noi vi accede per gli aspetti che lo coinvolgono; per cui la cultura che rimane, cioè quella di cui non si avvale (per sua estrazione sociale e culturale) e quella a cui non vuole accedere è raggiungibile anche per lui, ma per sua scelta, non per obbligo o dovere. Ecco a mio avviso capita che quando lavoriamo ... insieme per la cultura si rischi di voler raccogliere consensi da chi non li vuole dare e si perda di vista invece quella cultura che appartiene ad altri (che poco conosciamo) oppure che scelgono per un interesse che è diverso dal nostro.
La teoria può sembrare complessa, ma in pratica se io non capisco l’importanza della cultura contadi- na in un contesto agreste difficilmente posso capire quali sono gli interessi culturali che un contadi- no di una data realtà richiede e rischio di proporgli di partecipare ad iniziative culturali che fanno parte del mio interesse e non del suo.
In buona sostanza perché un giovane che ha difficoltà di inserimento sociale dovrebbe avvicinarsi al mio mondo culturale? Perché sono un esempio di chi, in quel modo sta meglio? E’ molto probabile che la reazione sia proprio di ulteriore emarginazione. Mi rimane allora un’affermazione:
“H o bisogno di capire perché lui sta facendo delle scelte che lo isolano e gli creano disagio sociale e le proposte che gli faccio debbono rispondere al quel disagio.”
Ma questo non è un suo problema: il soggetto infatti sono io; l’analisi logica dice: “ho bisogno ...”, e chiede, “chi ha bisogno?” Io! Quindi ora il problema è mio. La conclusione di questa introduzione é che se “io” faccio una proposta culturale, perché abbia riscontro sociale debbo esser certo che corrisponda all’interesse della comunità o della stratificazione sociale a cui mi rivolgo, per cui se la domanda “ma cosa sarà poi questa cultura?” è rivolta anche con rivendicazione o con disappunto o addirittura con violenza, allora vuol dire che il soggetto, cioè “io” ha sottovalutato qualche passaggio.
Con Insieme per la cultura ci stiamo addentrando anche in aspetti di questo tipo, non facili da risol- versi. Se ne volessimo dare interpretazioni teoriche, certa-
mente ci sarebbero obiezioni, ma noi ci siamo addentrati in una fase che è pratica, perché Monte San Pietro ha sue prerogative e particolarità, perché è formato da cittadini che esprimono pareri e modi di vivere, quindi una quotidianità molto ben delineata.
Questa è la nostra cultura, quindi la provocazione che ci è stata rivolta “ ... ma che cos’è poi questa cultura?” ora mi pare più chiara e risponderei alla domanda ponendomi un’altra domanda, un poco più definita, non per rivendicare, ma per riflettere e cercare nuovi stimoli su cui costruire proposte ... culturali. Direi dunque: “... ma che cos’è questa nostra cultura?”
Perché questa nostra cultura la viviamo quotidianamente e quando mi è stata fatta la prima domanda mi sono accorto che credevo di avere elementi sufficienti per valutarla e che invece gli elementi a disposizione potevano essere insufficienti. Approfondiamo quindi questa nostra cultura.
Il complesso dell’Abbazia della Badia è recuperato architettonicamente e di anno in anno l’amministrazione comunale sta portandolo agli antichi fasti, mettendo a norma tutta la struttura. Nel frattempo l’Abbazia si è arricchita di iniziative (concer- ti, esposizioni e varie proposte), ma anche di un’esposizione permanente degli utensili della vita contadina che ha caratterizzato queste terre agrarie dal medioevo fino al secondo dopoguerra. Chi come me negli ultimi trent’anni è venuto dalla città porta con sé la propria cultura che interagisce con quella locale, ma quella locale è presente attorno a noi, assieme al nuovo innesto urbano e se noi abbiamo modificato il presente, quello è il nostro passato.
La nostra grande storia non fa parte direttamente di Federico II, né del Re Sole e vive la II guerra mondiale solo marginalmente, toccata da quella violenza, ma meno devastata dai bombarda- menti, ma la nostra grande storia fa parte di quel mondo contadino che le sofferenze le ha passate, spesso costretto dalla fame a sofferenze estreme.
L’Abbazia serve per dare memoria non ricordi a quella grande storia e ad evidenziare la cultura di quel mondo che è stato di sofferenze: una grande cultura fatta da uomini che dovevano ogni giorno combat- tere la fame e sappiamo che è il fronte più arduo. Non è retorica, perché l’Abbazia non è retorica, è invece impegno di una comunità; non è retorica perché quando nostri concittadini come Gilberto Sanmartini riportano la voce della loro madre Ortensia in un libro toccante che ci racconta quelle asperità della vita, quella lotta quotidiana contro la fame e ci dice infine che tutto ciò è terminato solo negli anni Cinquanta, non è retorica, perché quelle memorie (non ricordi) sono temporalmente troppo vicine a noi. Non è retorica quando altri cittadini come quelli che frequentano l’associazione della Furlana recuperano luoghi, usanze, tradizioni del nostro territorio.
Quelle memorie sono la grande storia della comunità di Monte San Pietro e allora il complesso dell’Abbazia dedicato agli utensili della comunità a cui ha appartenuto Ortensia fa parte della nostra cultura e credo che ben si faccia a partire da lì e credo che attorno a quella cultura si possa tanto lavorare, che si possa parlare delle tradizioni culturali sia quelle passate, sia quelle che oggi affian- cano e si appropriano contaminando e interagendo col passato, perché l’integrazione sul territorio è un momento che viviamo tutti nel momento in cui dialoghiamo con la cultura che ci ha preceduto: non è solo un problema di etnie è proprio un problema mio e sono autenticamente bolognese per nascita e per ... cultura.

gianpaolo salbego

Nessun commento:

Posta un commento